I dati parlano chiaro, rilasciare più acqua nei fiumi, nel rispetto delle nuove portate previste dal Deflusso Ecologico, significa privare d’acqua vasti territori, abbattere la produzione agricola, con danni notevoli a PIL e lavoro, compromettere ambienti generati dall’acqua e habitat naturali, distruggere paesaggi di straordinario pregio culturale e turistico con ripercussioni sulla ricarica di falda e dunque anche sulle risorgive e i fiumi da esse alimentati.” Ad affermarlo è Francesco Cazzaro, presidente di ANBI Veneto, l’associazione dei Consorzi di Bonifica, al convegno nazionale “Emergenza per un territorio” di ANBI, ANBI Veneto e Consorzio di Bonifica Piave tenutosi giovedì 30 settembre a Quinto di Treviso, nel corso del quale si è affrontato lo scenario generato dall’applicazione del Deflusso Ecologico.

Uno scenario di crisi ambientale e occupazionale per vasta parte della Regione, a partire dai territori solcati dalle reti idrauliche che prelevano acqua dai fiumi Piave e Brenta, che risentirebbero drammaticamente della diminuzione di risorsa che dovrebbe essere lasciata nei fiumi.

Uno scenario addirittura drammatico nelle parole del presidente della Regione del Veneto Luca Zaia che senza mezzi termini parla di misura che “ammazzerà il territorio” e che dimostra come “l’Europa, quando scrive le direttive, non tiene conto delle specificità dei territori”. Per questo motivo “la Regione, a fianco dei consorzi di bonifica” è pronta anche a “procedere per vie legali” per tutelare ambiente e territorio, fermo restando che il tema del Deflusso Ecologico “va risolto a livello nazionale”.

La data a cui consorzi di bonifica, istituzioni, mondo ambientale e attività produttive – a partire da agricoltori e idroelettrico – guardano con apprensione è il 1° gennaio 2022, allorché, con l’entrata in vigore del Deflusso Ecologico secondo quanto previsto dalla Direttiva Quadro Acque (Direttiva Europea 2000/60/CE), per rilasciare un quantitativo d’acqua nei fiumi anche 3 volte superiore rispetto all’attuale, si diminuiranno sensibilmente i prelievi delle reti di canali che innervano vasti territori e che hanno generato nei secoli ambiente, attività produttive e un paesaggio di straordinario pregio culturale e turistico. “Mettiamo a rischio le nostre eccellenze agroalimentari”, afferma il presidente nazionale di ANBI Francesco Vincenzi.

COSA DICONO I DATI

I dati illustrati dal Consorzio di Bonifica Piave dimostrano che sull’area del proprio comprensorio, in pratica tutta la provincia di Treviso, se storicamente le stagioni critiche dal punto di vista di risorsa (dove per criticità significa una riduzione della disponibilità di risorsa maggiore del 20% rispetto alla media) sono 1 ogni 20 anni (l’ultima il 2003), con l’applicazione del Deflusso ecologico sarebbero 2 ogni 3 anni, con una situazione di grande criticità (una riduzione di oltre il 50% sulla media) 1 anno ogni 2. “Con questi dati si chiudiamo il Consorzio” ha spiegato il presidente del Consorzio Piave Amedeo Gerolimetto, “ma ne soffrirà anche il comparto agricolo perché significa che in 20 anni avremmo perso il 46% della produzione lorda vendibile (PLV)”.

Il consorzio Piave, oggi, per irrigare i 50 mila ettari di comprensorio, preleva al massimo 55 metri cubi al secondo di acqua a fini irrigui ma con benefici ecosistemici ben più ampi come l’alimentazione della falda. In caso di riduzione, ogni 1,1 metri cubi d’acqua in meno, significa privare d’acqua mille ettari di territorio. Danni anche nel caso di energie rinnovabili, soprattutto a monte dove, secondo le sperimentazioni di Enel Greenpower, si riscontrerebbe “un deficit di energia rinnovabile di 930 milioni di kWh pari al consumo annuo delle famiglie delle province di Treviso e Belluno senza tuttavia miglioramenti in termini di qualità ambientale”. Sottrarre all’ambiente quella stessa acqua che l’ha generato nei secoli comporterebbe inoltre impatti ambientali su risorgive, ricarica di falda, siepi e corridoi ecologici ai margini dei corsi d’acqua, fauna ittica. Nel comprensorio del Brenta, significherebbe la fine del patrimonio ambientale, paesaggistico, storico-culturale delle rogge realizzate dalla Serenissima 4-500 anni fa.

Un disastro ambientale causato da una misura che nasce con buone intenzioni di tutela ambientale, ma che puntando tutte le attenzioni sui fiumi dimentica i territori. I dati alla mano, incontrovertibili, sono la carta da giocare in sede Comunitaria. L’autorità di bacino delle Alpi Orientali, per voce del Segretario Generale Marina Colaizzi spiega che: “studi, dati e informazioni emersi sono fondamentali per rappresentare a Bruxelles la situazione di criticità, spiegando che l’agricoltura sta investendo nell’efficientare l’utilizzo dell’acqua ma che vi sono numerosi servizi ecosistemici che non sono comprimibili, rischiamo insomma un costo sproporzionato rispetto al beneficio del rilascio del deflusso ecologico. Siamo certi che con questi dati l’Europa accoglierà la richiesta di una gradualità nell’applicazione del deflusso e anche nel rivedere il valore di questo quantitativo di acqua da rilasciare nel fiume.”

Al convegno hanno partecipato oltre 300 persone tra amministratori, rappresentanti delle attività produttive, in primis agricoltura e idroelettrico, organizzazioni ambientali e ovviamente tecnici idraulici e consorzi di bonifica. Tra i relatori, oltre ai vertici nazionali di ANBI, la Regione del Veneto è stata rappresentata ai massimi livelli dal presidente Luca Zaia e dagli assessori all’Agricoltura Federico Caner e l’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin. Presenti inoltre, il presidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini, il Ministero delle Politiche Agricole rappresentato dal Direttore Generale dello Sviluppo Rurale Simona Angelini, i presidenti delle commissioni Agricoltura del Senato Gianpaolo Vallardi e Ambiente della Camera Alessia Rotta, tutte le Autorità di Bacino Distrettuale d’Italia, le organizzazioni agricole regionali e Legambiente.